Siamo in questa basilica, pellegrini di quell’immagine di Cristo povera e umile che è Francesco, perché vogliamo seguirne le orme, che con sicurezza ci rendono veri discepoli del divino Maestro. Venuti dalla Sicilia, siamo una porzione di Italiani che cerca in questo Frate del Medioevo un sicuro orientamento per il proprio cammino lungo una strada che appare piena di insidie. L’olio che portiamo in dono raffigura noi stessi perché esprime il nostro desiderio di rimanere vicini a lui nelle sue spoglie mortali, qui custodite, per attingere alla sua ispirazione spirituale, conservata dai Frati, e non smarrire la giusta direzione. Infatti, conoscere semplicemente san Francesco-disse il monaco Thomas Merton- vuol dire comprendere il Vangelo e seguirlo nel suo spirito sincero e integrale, è vivere il Vangelo in tutta la sua pienezza>.
Ai Galati Paolo indica quale sia il segno discriminante della novità evangelica rivelatasi in Cristo Gesù. E’ un segno scritto pur esso nel corpo, non però alla maniera del segno di Mosè, quello della circoncisione, bensì’ tramite le stigmate del Crocifisso. Esse affondano e abbracciano la totalità della persona segnandone il valore della donazione piena. Lo stesso Paolo condivide questo segno nel proprio corpo, per denotare ‘appartenenza al Vangelo di Cristo: “schiavo del Vangelo”, come si definisce
Questo segno fu concesso anche a Francesco ottocento anni fa, nel settembre 1224, quando “nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno”, secondo la descrizione di Dante nella Commedia. Così fu noto a tutti quanto egli fosse intimamente unito al Signore, il quale lo rendeva partecipe della propria dona zione amorosa per l’umanità e sigillava la missione di Francesco di ricostruire la sua Sposa, la Chiesa. Per quanto la crocifissione susciti in noi un senso oscuro di sofferenza, in Paolo come in Francesco l’unione con il Crocifisso emana levità e gioia, purezza e luminosità, quella della nuova creazione, non più schiava del peccato, ma libera dalle violenze, dai soprusi, dalle invidie e dalle guerre. La nuova creazione è fraternità perché nasce dalla riconciliazione operata dal Crocifisso. San Matteo privilegia nell’inno di giubilo raccolto dalla labbra di Cristo la mitezza e l’umiltà. Il re dell’universo si presenta con le qualità che ricordano il Servo sofferente di lsaia, inviato da Dio ad annunciare ai popoli la liberazione e la misericordia. Con mitezza egli chiede a noi, mendicante di amore, di assumere il suo giogo, soave e leggero, perché solo in esso troviamo ristoro. Il riferimento è al cammino verso la sua Pasqua di morte e risurrezione, a cui egli invita alcuni perché testimonino ed espandano nel mondo il perdono e la pace. È il compito della Chiesa, sul cui volto splende la luce di Cristo, a partire dal quale vuole irradiarsi su tutte le nazioni.
Come non accostare la contrapposizione tra “sapienti e intelligenti” con “piccoli” al continuo definirsi “piccolino” di Francesco, con la conseguente scelta della minorità fatta per sé e per i suoi Frati: “Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli amministratori, né i cancellieri, né presiedano nelle case in cui prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scandalo o che porti danno alla loro anima; ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa” (Regola non bollata, VII). Sembra la scelta della subordinazione nei confronti di ogni persona, per scendere alla radice della riconciliazione, da cui sgorga la pace vera.
I Padri della Repubblica, di tradizioni culturali e fedi diverse, i governanti e il popolo italiano hanno ben colto il nocciolo di questo messaggio, accogliendo Francesco quale patrono d’Italia dichiarato tale da papa Pio XII. Noi italiani tutti desideriamo così attingere alla sorgente della pace e della concordia per berne direttamente e diffonderla. Siamo consapevoli di non essere qui dinanzi a valori, per quanto alti e preziosi, come la concordia e la fraternità, ma siamo dinanzi alle spoglie di un uomo con un vissuto che lo rende eccellente testimone e profeta che indica la sicura via della pace. Forse potremmo rischiare di dire che non riusciamo nell’odierna convivenza sociale ad accogliere il migrante, a frenare la violenza, a curare i deboli e i poveri, a respingere il malaffare proprio perché non riusciamo a raggiungere la sorgente dei valori, cioè il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e la mitezza. Se il risanamento non accade nel profondo delle radici, non vedremo mai i frutti dell’albero. Cristo crocifisso e Francesco, piccolo e stigmatizzato, hanno raggiunto il fondo risanando e inaugurando la nuova creazione.
Noi discepoli e pellegrini siamo qui con i nostri governanti e amministratori a chiedere umilmente l’acqua di questa fonte, fiduciosi che Cristo per intercessione di Francesco la riversi abbondante su di noi e sull’Italia intera.