«Vi era un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (Gv 18, 41).
Le persone a Lui care o che confidavano in Lui, la Madre, le donne, Nicodemo, Giuseppe di Arimatèa, si prendono cura del corpo di Gesù, compiono un atto di pietà umana che assume un significato nuovo, perché quello è il corpo del Figlio di Dio. Tante volte, nella tradizione cristiana, a quel sepolcro nuovo si sono ispirate tante anime, tanti ardenti uomini e donne di preghiera: come quel sepolcro ha accolto Gesù e non ha potuto neppure trattenerlo, così molti hanno chiesto al Signore di poter essere quel sepolcro, di poter accogliere nel proprio cuore verginale, cioè nuovo, per curare e custodire Gesù stesso, morto, risorto, nel suo corpo ormai glorioso; per essere un luogo dove deporre il corpo di Gesù, santificato dall’offerta e dalla volontà divina di andare fino in fondo, fino a consegnare se stesso.
Abbiamo sentito nelle letture della Parola di Dio, sia ieri sera che oggi, che “Egli si è consegnato al Padre”, fino in fondo: andare dritto, offrirsi, consegnarsi. Ma sappiamo che si è consegnato anche a noi uomini e la pietà della Madre e di quelle donne ha voluto raccoglierlo, abbracciarlo, prenderlo con sé, custodirlo. Anche questo, fratelli e sorelle, fedeli, discepoli, Chiesa, suo Corpo mistico, è per noi parte della nostra sequela di Lui. Se la scena della Pietà, immortalata da molti talenti artistici, di scendere Gesù dalla croce, di porlo nel sepolcro e di imbalsamarlo, secondo le ritualità giudaiche, è stata una parte importante della sequela di quelli che sono stati più vicini, soprattutto della Madre, allora io credo che ciò faccia parte della nostra fede cristiana; non è probabilmente l’aspetto più evidente che colpisce dinanzi alle folle ma è l’aspetto più intimo, più affettuoso, proprio delle persone più vicine a Lui e che più lo amavano.