Ieri sera abbiamo iniziato la Veglia, come prescrive la liturgia, cantando un lungo inno intonato dal diacono, che si chiama Preconio Pasquale, un preannuncio, presentimento di questo evento straordinario che Cristo è risorto, ed è una lunga preghiera di esultanza e di lode, che comincia con le parole: «Esulti il coro degli Angeli, tutta la terra è in festa». Adesso abbiamo finito di cantare «Alleluia», un ritornello che cantiamo in questi giorni, ripetutamente fino a Pentecoste. Alleluia è una parola ebraica, vuol dire “lode a Dio”, “lodiamo Jahvé”, nome con il quale Dio si è manifestato a Mosè.
Gioia, lode, ringraziamento, soprattutto esultanza,: sono questi i sentimenti che prevalgono a Pasqua; a Natale c’è la gioia, la sorpresa della luce e della novità del “Piccolo”, qui c’è ancor di più, ancor più sorprendente, una tomba con la pietra ribaltata, vuota, è quello che abbiamo sentito.
La prima cosa che mi sono chiesto: “Di che natura è questa gioia?” Il Santo Padre Francesco ha intitolato la sua grande lettera “Evangelii Gaudium”, il Vangelo della gioia, la gioia del Vangelo. Probabilmente molti di noi faranno difficoltà a percepire e anche un po’ a comprendere questa esultanza, questa gioia, perché, molto francamente, nella nostra quotidianità, percepiamo e sperimentiamo tutti, chi più chi meno, qualcosa che somiglia più al Venerdì Santo, alla fragilità, ai limiti, alle paure, alle angosce, per non dire alle ingiustizie, ai conflitti, alle guerre, all’odio e così via. Tutti sentimenti ed esperienze che, appunto, hanno condotto a quell’epilogo disastroso della morte di Gesù.