«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» Mc 6,31
Riflessione di Francesco Pio Leonardi, teologo
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’»(1). Questa frase pronunciata da Gesù nel vangelo di Marco è indicativa per comprendere il senso del riposo. Il mese di agosto, com’è noto, rappresenta per molti il tempo della sosta. È il periodo dello stacco di molte attività, della distrazione dalla pesantezza della routine, per riappropriarsi del «se stesso» lasciato per strada nelle molte occupazioni.
Il vangelo, tuttavia, sembra porre una questione diversa. Non è che venga messa in discussione la necessità dello svago, bensì vengono rimodulati i presupposti e gli scopi di ciò che s’intende per riposo. Per comprendere tale assunzione, bisogna procedere a ritroso e definire i fini per illuminare la pregnanza delle cause.
La richiesta di Gesù a ritirarsi in un luogo deserto sembrerebbe strana per chi volesse riappropriarsi di qualcosa perduto; il deserto, infatti, è il luogo della perdita più che del ritrovamento. Certamente il silenzio dell’eremo aiuta l’introspezione, ma non è detto che guardandosi ci si ritrovi; anzi, se dovesse capitare di esaminarsi con verità, la reazione spontanea potrebbe essere quella del terrore e della fuga. L’invito del vangelo, dunque, sembra rivolto non a chi vuole ritrovarsi, ma a chi vuole perdersi.
Perdere per cosa? Secoli di predicazione hanno fatto passare il messaggio che da perdite iniziali è possibile saltare ad un ricavo finale, che si tratti di elementi spirituali, istituzionali o materiali. Ad un certo punto ci si è chiesti se ci fosse una scorciatoia per passare direttamente ai ricavi, evitando le perdite o quanto meno riducendole al minimo. Non è che il messaggio fosse scorretto, ma come il corpo non può vivere solo con le ossa dello scheletro, così l’individuazione della struttura non basta a garantire la vita. Il cristianesimo oggi si presenta come materia morta, di cui si può fare oggetto di indifferenza perché, forse, si è salvaguardata l’ossatura dimenticando ciò che l’ha resa viva. Probabilmente si tratta del problema di sempre e non di una cosa nuova, ma ciò non spetta a noi giudicarlo.
«Il cristianesimo è veridico solo quando dice come il sé passa attraverso il distacco da se stesso. In compenso, non esiste quando il suo discorso rafforza l’io nei suoi bisogni religiosi o spirituali»(2). Il «sé» di cui parla il teologo domenicano Collin è messo in contrapposizione al «se stesso» che, in ultima analisi, coincide con l’«io». L’identità è sempre colma di bisogni, di qualsiasi genere, e tenta di soddisfarli e di preservarsi riducendo al proprio raggio d’azione ciò che si presenta come diverso; il vangelo, di contro, sembra un invito a perdersi per appartenere a ciò che è Totalmente Altro (3) (differente). Ciò non significa alienazione.
La nozione evangelica di appartenenza, infatti, coincide con quella di unità che, per sua natura, non è pienamente oggettivabile. La non capacità di definizione, poi, dischiude la possibilità di un cammino; non semplicemente perché si cerca un ordine irraggiungibile in una confusione immensa, ma perché ci si scopre piccoli (incapaci), e solo quando si è piccoli si cresce. Il «piccolo» plasma il proprio «sé» nella crescita, fatta di tappe di consolidamento che si smontano progressivamente man mano che la personalità si forma. Egli scopre il «sé» attraverso il contatto con le cose nuove e scoprendosi sempre diverso.
In questa prospettiva, dunque, il vangelo narra la vita dell’uomo ed è «buona notizia» solo perché risulta essere elemento di discontinuità, perciò non piace.
Qui, nel movimento di morte e vita, è collocata la comunità cristiana. Essa è segno di contraddizione, come il suo Signore (4), e quando disattende la serietà della propria natura è inevitabilmente condannata alla freddura dello scheletro di cui sopra, e relegata ai cimiteri della cultura occidentale.
Occorre, dunque, una rifondazione che parta dalla generalità del vivente, non dalle strutture ad esso sottese. Quelle magari verranno rimodulate, ma solo nella «visione d’insieme». Lo scarto che poi si tradurrebbe in «scatto» generante la forza per mettere piede nel deserto è l’amore. Egli, sempre oltre l’orizzonte, porta a fare il primo passo:
«Tu ci credi in Dio?
Sinceramente?
Certo.
Non so chi o che cosa sia Dio. Ma non credo che tutto questo sia arrivato qui da solo. Io inclusa. Forse tutto evolve esattamente come dicono. Ma se indaghi la fonte, a un’intenzione alla fin fine ci arrivi per forza.
Indagare la fonte?
Ti piace? È Pascal. Circa un anno più tardi mi sono di nuovo svegliata ed era come se avessi sentito questa voce nel sonno e riuscivo ancora a sentirne l’eco e diceva: Se qualcosa non ti avesse amato non saresti qui. E mi sono detta okay. D’accordo. Ci sta. Non sembrerà chissà che. Ma per me lo era. Per cui faccio come dice il programma, Bobby. Un giorno alla volta»(5).
Questo dialogo è tratto dall’ultimo romanzo dello scrittore statunitense recentemente scomparso Cormac McCarthy.
Come si evince, il tema è sempre quello dell’amore o, meglio, dello scoprirsi amati, al di là di tutto. Chi ha letto il romanzo sa bene che questo dialogo è sviluppato tra personaggi che vivono particolari sofferenze, ma l’intuizione fondamentale è costantemente il cammino dell’amore, chiaramente associato a Dio. Il vangelo, forse, non dice chi siamo, ma pone la questione su ciò che vogliamo essere. Per questo il riposo proposto da Gesù sembra un invito alla creazione.
Arriviamo, infine, alla considerazione iniziale circa il presupposto del riposo dopo averne intravisto, seppur brevemente, il fine. Se lo scopo non è la riappropriazione di qualcosa dopo averla persa, bensì la formazione di questo qualcosa, il primo passo inevitabile sembra la coscienza del desiderio. Tra le tante cose che si vogliono fare o avere, forse, sta un sogno che aspetta di essere scoperto.
1 Mc 6, 31.
2 D. Collin, Il cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia 2020, p. 60.
3 Vedi M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente altro, Queriniana, Brescia 20197.
4 Cfr. Lc 2, 34.
5 C. McCarthy, Il passeggero, Einaudi, Torino 2023, p. 71.