COMMENTO AL VANGELO / Beatitudini, il Paradigma del Regno di Dio

Domenica 9 febbraio 2025

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Commento di Don Orazio Tornabene


Nella sesta domenica del T.O., il Vangelo presenta Gesù che, disceso con gli apostoli, si ferma in un luogo pianeggiante, dove lo attende una grande folla composta dai suoi discepoli e da una moltitudine di persone provenienti da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dalle regioni pagane di Tiro e Sidone. In questo contesto universale, Egli si rivolge in particolare ai discepoli, coloro che possono comprendere il suo insegnamento, e proclama per quattro volte: Beati voi, ma anche Guai a voi.
A differenza delle profezie veterotestamentarie, che descrivevano il tempo messianico come un’epoca futura in cui Dio avrebbe provveduto ai poveri, agli affamati, ai perseguitati e agli emarginati, Gesù introduce una prospettiva nuova.

Le beatitudini non sono più un’attesa, ma una realtà presente:

«Beati voi, poveri,  
perché vostro è il Regno di Dio.  
Beati voi, che ora avete fame,  
perché sarete saziati.  
Beati voi, che ora piangete,  
perché riderete.  
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.  
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo» (Lc 6,20-23).
Luca elenca quattro beatitudini rivolte ai poveri, agli affamati, ai piangenti e ai perseguitati. Sebbene le prime tre possano sembrare categorie sovrapponibili, l’evangelista non interpreta queste condizioni in senso esclusivamente etico o spirituale, ma come situazioni concrete. La quarta beatitudine, infatti, riflette direttamente l’esperienza dei discepoli della comunità lucana, hanno volti e nomi.
Per questa ragione, l’evangelista sente l’esigenza di affiancare alle beatitudini quattro “guai a voi”, in un messaggio di rovesciamento delle prospettive umane. La comunità a cui Luca si rivolge vive immersa nel benessere delle città pagane, e il suo Vangelo intende ribadire che, agli occhi di Dio, i poveri possiedono un valore inestimabile: a loro appartiene il Regno dei cieli. Questa è l’unica promessa formulata da Gesù al tempo presente.
Oggi più che mai è errato interpretare le beatitudini lucane in chiave meramente politico-sociologica. La modernità ha smarrito il senso teleologico dell’esistenza, riducendo ogni prospettiva all’immanenza. Tuttavia, per cogliere il significato profondo delle beatitudini è necessaria la fede.
Come ricorda il profeta Geremia:  
«Benedetto l’uomo che confida nel Signore  
e il Signore è la sua fiducia.  
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,  
verso la corrente stende le radici;  
non teme quando viene il caldo,  
le sue foglie rimangono verdi,  
nell’anno della siccità non si dà pena,  
non smette di produrre frutti» (Ger 17,7-8).
Solo allora le beatitudini si trasformano in un impegno concreto per la comunità, chiamata a portare frutti nel Signore. Questo agire è motivato dalla speranza nella risurrezione, come afferma Paolo nella seconda lettura:  
«Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? […]. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,12.19-20).
Alla luce di questo insegnamento, la comunità cristiana di oggi è chiamata a riscoprire il valore delle beatitudini come stile di vita. Esse non sono solo parole di consolazione, ma un programma esistenziale che sfida la mentalità del mondo. In un’epoca segnata da individualismo, materialismo e perdita del senso del sacro, i cristiani sono chiamati a testimoniare con la loro vita che il vero tesoro non è nelle sicurezze terrene, ma nella relazione con Dio e nel servizio ai fratelli.
Vivere le beatitudini significa fidarsi della logica del Vangelo, anche quando essa sembra contrastare con le certezze mondane. Significa scegliere la povertà del cuore anziché l’accumulo di beni (che come terra di salsedine rende sterili), la fame di giustizia anziché il compromesso, la mitezza anziché la prepotenza, la persecuzione per il Vangelo anziché il consenso facile.

Il cristiano non può vivere da spettatore, ma deve essere testimone.

Il mondo ha bisogno di credenti che incarnino la speranza della risurrezione e la certezza che la vita non si esaurisce nel presente. Solo così la comunità cristiana potrà essere segno di contraddizione e fermento di novità per l’umanità intera.
Buona domenica e una santa settimana a tutti.
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15 Febbraio 2025
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