1 aprile 2021, Aci San Filippo
Signore Gesù,
ancora una volta ci raduni per la santa cena, “durante la quale, prima di consegnarti alla morte, hai affidato alla tua Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del tuo amore” (preghiera colletta).
Veniamo a Te, in un momento di generale apprensione a motivo della pandemia che, da più di un anno, affligge l’umanità, minando seriamente l’incolumità fisica e destabilizzando il sistema economico e sociale di ogni Stato e Nazione.
Nonostante tutto siamo qui stasera, attorno a questa mensa, per gustare la bellezza del tuo dono. Con te, risorto e vivo Signore, vogliamo vivere il gaudio della convivialità, per far sì che da te nutriti col tuo corpo e dissetati al tuo calice, possiamo essere strumenti e artefici di comunione con te e i fratelli.
In questo memoriale della cena pasquale, ti chiediamo Signore la prontezza del servirti. Come il popolo dell’antica alleanza, anche noi vogliamo essere “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone tra le mani” (1 lettura), pronti a compiere un esodo fondamentale: quello di uscire fuori dalle nostre false ed effimere sicurezze che ci siamo costruite e che abbiamo visto sgretolarsi come una statua di argilla. Donaci, pane che sostieni il cammino, il coraggio di chi sa uscire fuori dal baratro e dalle tenebre per gustare la bellezza della luce ed essere autentici annunciatori della tua morte redentrice, nell’attesa del tuo ritorno (2 Lettura).
Guardando te nell’atteggiamento umile, che lavi i piedi ai tuoi discepoli, vogliamo imparare la logica del servizio, che vince e supera l’arroganza dei nostri atteggiamenti. Stasera, ripeti a ciascuno di noi: “Voi mi chiamate Signore e Maestro e dite bene perché io lo sono, ma se io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni e gli altri” (Vangelo). Tu, Signore e Maestro, compi il gesto dello schiavo, per ricordare a noi, tuoi discepoli, che la misura dell’amore è quella di chi sa piegarsi amorevolmente verso gli altri, facendosi carico delle sofferenze, dei bisogni, delle attese e di tutto ciò che è necessario verso quanti si attendono da noi una esemplare testimonianza di vita conforme al vangelo e alla fede che professiamo.
Noi Sacerdoti, che in questo giorno santo ricordiamo l’istituzione del nostro sacerdozio ministeriale, chiediamo di renderci “servi premurosi del popolo di Dio” (Prefazio della messa crismale). Servi, non casta. Guide autorevoli e non autoritari delle nostre comunità. Pastori non mercenari. Testimoni, più che maestri. Semplici e non complicati. Ricordaci sempre, per evitare di insuperbirci, che ci hai chiamato alla tua sequela “senza nostro merito”, ma solo per Grazia e per il mistero della tua elezione.
Per la nostra comunità ti chiediamo il dono della comunione, quella vera e autentica, che non nasce dai nostri progetti o dalle nostre iniziative, ma dall’ascolto attento della tua Parola e dall’essere uno in te. Guardando te, pane di vita eterna, con l’antica preghiera diciamo: “Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto è diventato una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno” (Didachè). Liberaci Signore dalle rivalità e dalle fazioni, rendici tessitori di fraternità; “donaci gli occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli” (Pregh. Euc. V\C); fa che possiamo essere aperti alla novità dello Spirito per evitare di fare della nostra comunità un museo; ricordaci che tutti “Siamo chiamati a collaborare non a contrapporci, a incoraggiare non a guardare unicamente con occhio critico, a gioire quando i progetti degli altri vanno a buon porto e a rattristarci quando falliscono” (T. Bello, Omelia Messa crismale, giovedì santo 1993).
Pane spezzato, insegnaci ad amare il mondo e la sua storia, fa che nessuno di noi se ne stia alla finestra a guardare e ergersi giudice, donaci la passione dell’impegno concreto, fattivo, operoso e generoso perché, anche grazie al nostro piccolo contributo, ciò che ci circonda abbia ad essere come il prato fiorito di una primavera che segue ad un gelido inverno. In un contesto sociale dove la tentazione della corruzione si mostra ogni giorno facile e raggiungibile, donaci di essere onesti e integerrimi cittadini, custodi di un bene da difendere e tutelare e non da usare a nostro uso e piacimento. Liberaci dalla tentazione di dividere la vita spirituale da quella sociale, come se fossero due rette parallele che non si incontrano mai, rendici lievito per fermentare la massa, lampada che risplende sopra il moggio, sale per dare sapore a ciò che da tempo sembra averlo perduto.
Gesù Eucarestia, “che per l’amore che porti agli uomini, te ne stai notte e giorno in questo sacramento, aspettando, chiamando ed accogliendo tutti coloro che vengono a visitarti [ed adorarti]” (S. Alfonso M. dé Liguori), vogliamo essere veri adoratori di te, gente che sa stare in ginocchio per ascoltarti e pronta a mettersi in piedi per servirti; discepoli attenti e generosi che sanno riconoscere la tua dolce presenza “vera, reale e sostanziale” nelle specie del pane e del vino e, nel contempo, riconoscerti nel fratello, povero e bisognoso che passa accanto a noi. Sull’esempio di te, buon samaritano, vogliamo versare sulle ferite dell’umanità “l’olio della consolazione e il vino della speranza” (prefazio comune VIII).
In questa notte santa in cui tu, “avendo amato i tuoi che erano nel mondo, li amasti sino alla fine” (Vangelo), accogli la nostra accorata preghiera. Riconosciamo che come Giuda più volte abbiamo tradito il tuo amore fedele, come Pietro abbiamo rinnegato il tuo nome e l’appartenenza a te, come il resto dei discepoli ti abbiamo lasciato solo dinanzi al tribunale iniquo del mondo.
Stasera, però, ti vogliamo abbracciare, consapevoli che “Abbracciare la tua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella tua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza” (Papa Francesco, omelia 27.3.2020).
Amen.