Benedetto colui che viene nel nome del Signore
articolo di Francesco Leonardi, teologo
Il passaggio all’autenticità dell’esistenza non è scontato; può capitare che gli anni passino vivendo solo per “sentito dire”. La coscienza umana può rimanere intorpidita dalle incertezze o, peggio ancora, da false proiezioni di sicurezza. Quando ci si trincera dietro i fossati di un’idea o di uno schema non c’è spazio per la Verità. L’etica (cristiana e non) spesso rimane chiusa entro queste costrizioni, ricercando degli indirizzi le cui opzioni dai caratteri definiti dimenticano le sfumature della carne di cui siamo fatti. Qualsiasi idea, privata di slancio vitale, rimane solida astrazione. È il caso di ciò che negli ultimi decenni è accaduto al personalismo ontologico, il cui invito a riscoprire il valore oggettivo della persona si è rivelato un valido strumento, ma anche trampolino di lancio per accuse poco fondate a certe esigenze pratiche del vivere concreto. Generalmente questo capita quando si cerca poco, come se bastassero due o tre schemi per inglobare l’intera complessità del mistero della vita, rivelantesi sempre eccedente. La coscienza, invece, nutre il bisogno di pensare, di co-agitare (interpretazione dal latino cogito = pensare) come il motore di una piscina che muove l’acqua per evitare che stagni.
Di qui il bisogno di una Teologia che non si limiti a fare la traduzione in termini eleganti del magistero, ma che sappia librarsi su ali autonome e responsabili. La disciplina rigorosa della ricerca
teologica dovrebbe aiutare la Chiesa a scavare in profondità sempre maggiori il cuore della Rivelazione, senza la paura di tradire schemi perché l’appartenenza alla Comunità ecclesiale non è
astratta. La vera appartenenza la determina la coscienza, che è sicuramente indirizzata, ma è anche il tramite attraverso il quale il Bene, da idea astratta, diventa reale con l’assenso e la disposizione a tradurlo nella vita personale e comunitaria(1). Insomma, si tratta del “luogo” della comunione tra Dio e l’uomo che, per questo, non è seguire i venti, ma neanche ammainare le vele. La coscienza, come suggerisce lo stesso termine, è il punto della consapevolezza o, meglio ancora, il punto verso la consapevolezza. Diciamo verso perché ci indica la direzione da seguire per muoverci incontro all’identificazione con il creatore. San Paolo, in tal senso, nella Lettera ai Galati, sembra ribadire che la piena identità con Cristo (che si forma in noi, non ad extra)(2) è l’apice della risposta alla Grazia divina. Ciò comporta che Cristo Gesù non sia uno schema, ma colui che ci permette di rientrare in noi dal nostro stato di alterazione. Scriveva Ortega Y Gasset, a proposito della differenza uomoanimale: «Il nostro vocabolo altro non è che il latino alter. Dire dunque che l’animale non vive di sé stesso, ma dell’altro – tirato, mosso, tiranneggiato dall’altro – equivale a dire che l’animale vive sempre alterato, alienato. Così che la sua vita è un’alterazione costituzionale»(3). La condizione di alterazione, secondo il filosofo, è propria degli animali. Fermo restando che non possiamo introdurci nel dibattito sull’animalità e le sue caratteristiche, ciò che possiamo trarre da questa espressione è che la differenza sostanziale con l’uomo consiste nel fatto che questi «può, di quando in quando, sospendere di occuparsi direttamente delle cose, staccarsi da ciò che gli è intorno e disattenderlo, costringendo la sua facoltà di attenzione ad un capovolgimento radicale zoologicamente incomprensibile»(4). Quello che si vuole dire è che l’uomo può entrare in sé stesso e ammirare il santuario di Dio(5), che è anche il suo nel circolo delle “appartenenze”. Solo nella coscienza, a partire da quanto detto, si può pronunciare la parola accoglienza. Se, infatti, si accetta ciecamente si vive alterati, ma se si è coscienti ci si può aprire alla novità della Rivelazione di Cristo, come colui che trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche(6).
Nella Domenica delle Palme, della Passione del Signore si fondono due tradizioni che, solo apparentemente, sembrano diverse. Da un lato l’accoglienza che Gesù riceve tra le grida della folla in festa, dall’altro il rifiuto della stessa folla incapace di cogliere la sua signoria sub contrario. Il passaggio dall’ Osanna al Crucifige è frutto del fatto che per accogliere Cristo c’è bisogno di abbattere la proiezione nostra del volto che abbiamo di lui, per lasciar spazio alla sua presenza in carne ed ossa. Spesso noi, non altri, non ne abbiamo né la voglia, né la forza. Perché un Cristo-schema si può controllare anche a forza di norme, il Cristo vivente abita le coscienze e le libera con la verità.
1 Cfr. R. Guardini, Il bene, la coscienza e il raccoglimento, in Opera Omnia IV\1 “Scritti sull’etica”, Brescia, 2015, p.152.
2 Vd. Gal, 4,19
3 Ortega Y Gasset, L’uomo e la gente, Roma, 2005, p. 33.
4 Ibidem.
5 Cfr. Sal 27, 4
6 Cfr. Mt 13, 52