Ricordati che sei polvere…
Articolo di Francesco Leonardi
Comprendere il senso del passaggio (Pasqua) vuol dire entrare nelle trame dell’itinerario che lo costituisce. C’eravamo lasciati alla manifestazione del giudizio definitivo di Dio sul mondo; la Quaresima chiarisce i termini di tale giudizio, gli effetti e le contraddizioni generati nella vita del credente. La Tradizione Biblica, dalla Torah al Nuovo Testamento, evidenzia come l’esperienza del deserto rappresenti un luogo privilegiato per la Rivelazione di Dio(1). Il deserto è per definizione l’assenza di parola, il luogo muto entro il quale la vita patisce gli stenti, la prova che disorienta con la precarietà. Qui ci si perde. Tutto ciò che ritenevamo sotto controllo diventa motivo di scissione: si allontana ciò che pensavamo di essere e si avvicinano le tensioni e le pulsioni che per lungo tempo avevamo imparato a gestire(2). La proiezione del Dio universalizzante, astratto e certo scompare, lasciando il posto allo sconforto. Si tratta della vita, nella quale il concreto si palesa nella forma di un dramma necessario. Non ricalcheremo la classica retorica del “poi arriva Dio nuovamente e tutto si risolve nella speranza”, non è possibile, sono parole vuote. Ciò che è perduto resta tale; il momento negativo non può essere semplice momento speculativo, un attimo necessario sotteso tra la luce e la sua maggiorazione(3). Nel deserto tutto è muto, non si parla, anche se si vuole. Come accennare, dunque, una via d’uscita? Hans Urs Von Balthasar scriveva: «esiste per la Chiesa una possibilità, donatale da Dio, di annunciare nello stesso tempo sia lo iato (e quindi la continuità interrotta) che il suo ricongiungimento in Gesù (e quindi la continuità ristabilita solo nella sua persona)»(4). Questo ci permette di prendere sul serio entrambi gli elementi: la discontinuità che il deserto rappresenta e l’esperienza del Cristo.
Solo a partire dal contatto con Gesù di Nazaret è possibile ritrovare un λόγος nell’assenza. Egli per primo attraversa dinamicamente il conflitto e il dolore da esso generato, nella sua irrevocabilità e maledizione. Il suo sacrificio ha valore universale (per tutti) perché consumato nel finito, nel concluso storicamente, esattamente come il nostro dolore. Questa oblazione, tuttavia, trae la sua origine dall’Amore, indivisibile nella sostanza, ma non per questo “piatto”(5). Il modus amandi, dunque, indica un verso entro il quale attraversare concretamente anche quello che non si capisce, restando liberi e fedeli. Ciò che in questa sede può esprimersi deve lasciare il posto all’incommensurabilità e alla compresenza di deserto e Amore. D’altronde l’annuncio cristiano prevede che Cristo vivo apra, per così dire, un’altra dimensione della ragionevolezza nella quale siamo immersi: quella della carne ferita e risorta, accessibile dalla fede. Resta il problema di cosa sia la fede, se una proprietà o un dono e da dove iniziare a cercarla. In partenza potremmo dire, sulla scorta delle riflessioni precedenti, che essa è appartenenza e dono insieme: il discrimine che ci permette di capire quale elemento prevalga è ravvisabile nel percorso che ciascuno compie. Il deserto, in tal senso, può essere considerato un alto potenziale di scoperta. Ciò che viene prima, se il deserto che disvela o l’annuncio che all’eremo conduce, dovremmo avere l’umiltà di ammettere di non saperlo, per non incorrere in facili affermazioni.
Ciò che ci resta è chiedere al protagonista principale, a Cristo, il senso della presenza delle piaghe nel suo corpo risorto. Forse ci risponderà, come a Tommaso: «metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»(6).
Se l’ascesi non nasce dalla consapevolezza del dramma che si risolve nel finale aperto della Pasqua, il deserto dovrà ridursi a mere pratiche di pietà, che al livello della pietà permangono. Attraversare il silenzio con un modus vuol dire perdersi per ritrovarsi, non in senso deterministico, ma in senso evangelico: «chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»(7).
1 Si veda ad esempio l’espressione emblematica di Os 2, 16.
2 Vd. Mt 4, 2
3 Si veda a tal proposito lo scopo e il funzionamento delle correnti filosofiche nate dall’hegelismo.
4 H. U. Von Balthasar, Teologia dei tre giorni, Brescia, Queriniana, 1990, p. 71.
5 Vd. Tommaso D’Aquino, La Somma Teologica, Bologna, ESD, 2014, p.278.
6 Gv 20, 27.
7 Mt 16, 25