Alla ricerca del Natale
Articolo di Francesco Leonardi, teologo
Nel breve intervento precedente discutevamo riguardo al sogno progettuale, oggi dovremo spingerci oltre e, come buon metodo richiede, restringere il campo offrendo ulteriori determinazioni. Se il compito imposto da un progetto implica l’esser eseguito, è proprio dell’attuazione l’inserimento dell’idea nel corso fluido del reale. Venuta a contatto coi fatti esterni la tensione si ramifica e si unisce profondamente ad essi modificandoli e scoprendosene parte. Si realizza in tal modo un movimento che solo l’intuizione può cogliere (1).
In questo modo San Giuseppe si scopre parte essenziale del progetto di Dio. Si potrebbe interpretare il suo “sognare” come un comprendere saldamente ciò che gli viene rivelato in nuce, indiviso, semplice e complesso insieme. Questa “visione” è la causa che lo rende capace di identificare l’universalità di Dio con la carne de-finita di cui lui stesso è portatore.
Nei termini classici della Tradizione, utilizzati dalla stessa Scrittura, diremmo che vede con i suoi occhi il Verbo farsi carne (ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο [Gv 1, 14]).
Questo paradosso di infinitezza e finitudine, perché di assoluta contraddizione si tratta, può essere risolto esclusivamente accedendo alla soluzione mediante uno scatto motore che appartiene all’uomo, perché è lui a servirsene, ma è generato da Dio. In tal caso il linguaggio può proporsi esclusivamente come traccia, ma la sua solidità che lega e determina non può render conto della totalità e delle coincidenze di polarità sulle quali poggia il reale a livelli differenti. Non ci resta che il fatto dell’incarnazione, del quale, in ultima analisi, possiamo render ragione solo a posteriori. Il credente non può non abitare la carne e, nonostante abbia ricevuto nell’atto di fede la consapevolezza della direzione e del verso della linea temporale, deve porsi interamente nel presente come istante ben fissato (2). Diversamente cadrebbe nell’astrazione e nella proiezione di un Dio il cui volto somiglierebbe ad una brutta copia del suo.
Solo partendo dalla Provvidenza divina è possibile far spazio al paradosso (3), fronteggiare le contraddizioni e, insieme ad esse, venir sollecitati dalla meraviglia per ciò che chiede di essere scoperto.
La venuta di Dio nella carne permette all’uomo di trovare la radice di sé, nel duplice significato di piena appartenenza e di dono. Molte volte la Teologia ha scordato che l’uomo si appartiene calcando la mano eccessivamente sul dono, non facendo caso che senza appartenenza non c’è responsabilità: il dono è assoluto, quindi universale, passibile di proiezioni astratte e di rifugi frustranti. In altre parole di tutti e di nessuno. Il punto di congiunzione che rende possibile l’incontro tra le due polarità è Gesù.
Nell’uno solo e medesimo Cristo Gesù (4) si intravede che il sistema generale sul quale si costituisce l’universo che conosciamo e dal quale con metodi diversi cerchiamo di cogliere le regolarità, garantisce delle eccedenze. Tradotto in termini diversi, da incontri possibili come l’istante che muove la fede si accede al cuore delle cose. Il grimaldello che le dischiude è la coscienza credibile.
Francesco Pio Leonardi
1. Si veda il significato che ha l’intuizione in Aristotele già nell’Organon e la reinvenzione di quest’idea nell’ambito della tradizione cristiana.
2.Cfr. O. CULLMANN, Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo, Bologna, 2005, p. 101
3. Cfr. NICOLA CUSANO, La dotta ignoranza, Roma, 2011, pp. 97-98.
4. Si rimanda alle formulazioni del Concilio di Calcedonia (451 d.C.).