Indicazioni pastorali 2020/2021

Acireale - Indicazioni Pastorali 2020 -2021

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Giovedì 1 ottobre 2020 il vescovo mons. Antonino Raspanti, nella ricorrenza del 9° anniversario dell’ordinazione episcopale e di inizio ministero nella nostra diocesi, ha consegnato nella Basilica Cattedrale  le indicazioni pastorali dell’anno 2020-2021 dal tema: “DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE”.  In questo tempo di emergenza quest’anno non si è tenuta un’unica assemblea diocesana ma sarà desiderio del Vescovo incontrare i membri dei consigli pastorali parrocchiali nei singoli vicariati, ai quali consegnerà personalmente le indicazioni pastorali.
“Sarà mia cura – afferma il vescovo A.Raspanticercare di venire in ogni vicariato a discutere con voi queste riflessioni, che in buona parte concludono quelle da voi fornitemi. Chiederò che durante l’anno – conclude – si individuino alcune scelte precise da fare nelle parrocchie e nei vicariati, per incamminarci praticamente nella direzione rintracciata insieme”.

Di seguito LE INDICAZIONI PASTORALI dell’anno 2020 -2021


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Carissimi Fedeli,

  1. Sono a voi in questo autunno con una breve allocuzione, per condividere ancora una volta il tempo che il Signore ci dona di vivere insieme. La perdurante pandemia ha caratterizzato interamente il 2020 senza consentirci ancora di intravedere una soluzione positiva nel futuro prossimo. Durante la chiusura totale, con i sacerdoti abbiamo pregato con voi fin nelle vostre case, piccole chiese viventi. Abbiamo anche raggiunto molte persone per la solidarietà di tanti donatori, di tantissimi volontari e in parte anche per l’aiuto economico dell’otto per mille per la Chiesa Cattolica. Grazie a tutti di cuore, perché nelle ristrettezze abbiamo visto la Provvidenza all’opera, toccando con mano i legami di umanità e di fede che intercorrono tra noi.

Come dimenticare, poi, i catechisti e coloro che curano i fanciulli e i giovani, ma anche gli ammalati, i sofferenti e le famiglie! Grazie per aver continuato con i mezzi più diversi a mostrare la comunione di fede e l’amore del prossimo che Gesù ha più volte lodato! Questa è la migliore e più efficace predica che possiamo pronunciare.

 

  1. L’incertezza sui modi nei quali articoleremo la vita sociale blocca alla base la programmazione solita e, ancor più, modifica una componente essenziale della nostra esistenza, quali sono le relazioni e l’intreccio che da esse nasce nello scambio delle idee, dei sentimenti, dei progetti, dei valori. Questo ha inevitabili ripercussioni sulle attività parrocchiali e associative di ogni genere. Siamo tutti impegnati a comprendere meglio e inventare modi opportuni che ci consentano di continuare il cammino delle nostre comunità.

Come ho detto altre volte, sappiamo di trovarci dinanzi a una prova; qualsiasi esame o prova non ha esiti scontati negli uomini e nelle società, e conduce solitamente a una cernita (o “crisi”) come anche la storia sacra attesta. Per alcuni significa dispersione, perdita di fiducia, persino crollo, dovuti a ristrettezze o al deteriorarsi di relazioni affettive basilari. Per altri significa ricerca di punti più sicuri sui quali poggiare l’esistenza, al riparo della fragilità che mostrano i riferimenti mondani, significa ritornare a riflettere su valori relativizzati e perciò non coltivati, su usanze abbandonate, sulla pratica religiosa trascurata, sulla fede sbrigativamente riposta nei ripostigli del cuore, sul peccato lasciato incancrenire.

I preziosi incontri vicariali dei Consigli Pastorali parrocchiali, tenuti tra gennaio e febbraio scorso, hanno evidenziato la voglia di scuotersi da un torpore nel quale parrocchie e laicato organizzato stagnano, raccogliendo l’invito alla missione che ormai da anni anch’io rivolgo alla Diocesi, dietro le insistenti parole di Papa Francesco. Così si sono espressi i membri del Consiglio Pastorale Diocesano, raccogliendo gli spunti provenienti dai Vicariati: «Dobbiamo contrastare l’autoreferenzialità che riduce l’orizzonte di riferimento solo sulla nostra realtà e sui nostri programmi, mentre siamo chiamati ad avere uno sguardo più ampio, mettendoci al servizio per arricchire altri».

Fa eco a questi sentimenti l’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” a cura della Congregazione per il Clero del 20 luglio scorso, già letta da tanti parroci e fedeli, a conferma della direzione intrapresa. «La mera ripetizione di attività senza incidenza nella vita delle persone concrete, rimane uno sterile tentativo di sopravvivenza, spesso accolto dall’indifferenza generale. Se non vive del dinamismo spirituale proprio dell’evangelizzazione, la parrocchia corre il rischio di divenire autoreferenziale e di sclerotizzarsi, proponendo esperienze ormai prive di sapore evangelico e di mordente missionario, magari destinate solo a piccoli gruppi» (n. 17).

 

  1. La pandemia sembra lo scossone che impone una cernita e spinge a fondare la nostra vita sulla parola di Gesù: «Quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 4-5). Siamo invitati a coltivare una maggiore familiarità con lui, attraverso la lettura e la meditazione delle Scritture, animate da presbiteri e operatori con forme comunicative limpide e comprensibili che trasmettano Gesù nell’ardore di una testimonianza viva. Non sono pochi i segnali dai quali si intuisce che, come ai tempi di Gesù, la folla ha sete di Dio, di pace, di risanamento delle ferite, di verità solida, di ascolto attento. «Date loro voi stessi da mangiare» (Mc 6, 37) ci ripete Gesù. Se l’unione con Cristo culminante nella celebrazione eucaristica non trasforma interamente la nostra vita, se penetra solo una parte di essa, non potremo sfamare la folla (folla che oggi ha diversi modi di atteggiarsi nei riguardi della Chiesa: per tradizione e cultura o ormai distante da essa). Gli eventi storici, da noi subiti, sono purificazioni tanto più efficaci quanto più non sono state da noi procurate, ma solo accolte nella fede. Nella attuale pandemia ci aggrappiamo a Cristo, lasciando che si stacchino da dosso pezzi inutili e zavorre del nostro cammino? La messa è celebrata e vissuta dal sacerdote e dai fedeli con cura, raccoglimento, ascolto e obbedienza alla Parola?

 

  1. Ancora l’Istruzione esorta: «Al cuore di tale processo di rinnovamento, evitando di subire il cambiamento e impegnandosi piuttosto a promuoverlo e a orientarlo, si trova invece l’esigenza di individuare strutture attraverso cui ravvivare in tutte le componenti della comunità cristiana la comune vocazione all’evangelizzazione, in vista di una più efficace cura pastorale del Popolo di Dio, in cui il “fattore chiave” non può che essere la prossimità» (n. 44).

Pur avendo fame e sete, la folla sembra disorientata nel clima culturale postmoderno che è frammentato, martellante di suoni, immagini e voci, screditante ogni istituzione, relativizzante ogni verità e ogni valore etico, esigente una perfezione che nessuno può mai avere. Noi stessi rischiamo di essere trascinati da questo clima, non entrando fino in fondo in una relazione d’amore piena con Gesù. Rischiamo di rimanere noi stessi al centro di questa relazione, con le nostre problematiche, i bisogni, i progetti frustrati, le relazioni ferite, le rivalse per diritti negati e così via. Finché ci atteggiamo così verso Cristo, siamo come quella folla che lo seguiva per ascoltarlo e ricevere miracoli e pane; quando egli chiese di lasciare se stessi e ogni altra cosa, di prendere la propria croce ogni giorno e seguirlo, di essere discepoli, il numero si assottigliò notevolmente.

Non può accadere che pastori e operatori pastorali siamo più simili alla folla che al discepolo. Non può accadere che la nostra relazione con Cristo rimanga sul piano dei sentimenti appaganti, del senso di benessere, del bisogno soddisfatto. Il Consiglio Pastorale diocesano così si esprimeva: «Piuttosto che da corresponsabili, spesso ci comportiamo da utenti, che attingono ad un determinato servizio quando ci è utile e quando è conveniente, mentre la fede in Gesù dovrebbe invece da noi irradiarsi come luce vivace, come forza di vita e come gioia contagiosa, per dissipare il clima di incertezza che spesso incontriamo già dentro le nostre stesse realtà». Inevitabile chiederci, cari sacerdoti e laici: “Ho un tempo di preghiera quotidiano fissato e osservato?”.

Questo atteggiamento adolescenziale e un po’ egoista della religiosità, rende sterile il rapporto con Gesù e, di conseguenza, chiuse le nostre comunità. È come se non ci lasciamo decentrare da noi stessi per prendere in noi le esigenze di Cristo. A quel punto, devozionismo o altro, rimaniamo chiusi senza riuscire a volgerci all’annuncio di Cristo e alla prossimità con uomini e donne. La nostra religione, con le dinamiche parrocchiali e associative, finisce per restringersi solo a domanda di favori (a Cristo, ai santi o alla Chiesa) o a ricerca di soddisfazione sociale, di appagamento di vuoti affettivi, insomma qualcosa da consumare per quelli che vengono e magari svolgono un’attività, senza divenire donazione nella dimenticanza di sé, come ogni amore richiede. Le forme nelle quali viviamo e traduciamo l’offerta della salvezza rimangono spesso antiquate e distanti dal sentire contemporaneo, perciò superate facilmente da altre proposte e forme culturali più accattivanti; per questo vediamo restringere sempre più le presenze ai nostri riti o nei nostri ambienti a persone mature o a ragazzi, i quali crescendo mutano pelle e non si ritrovano più nei vecchi vestiti. Si perde così lentamente ma inesorabilmente la pratica cristiana, che è parte essenziale della fede, perché la nutre, non solo la esprime.

 

  1. Se durante il lockdown ci siamo lodevolmente mobilitati dando segni di questo uscir da noi stessi, di accorciare la distanza tra fede e pratica ecclesiale, è tempo che questa dinamica diventi abituale, soprattutto decidendo di dar congruo tempo all’ascolto della Parola, a celebrazioni liturgiche che tocchino la nostra vita, a relazioni ecclesiali belle e nutrienti, a una prassi cristiana privata e pubblica coerente con il credo, a un’attenzione e sensibilità verso gli appuntamenti fondamentali dell’esistenza umana, dai quali lasciare esplodere l’energia della pasqua di Cristo. Noi pastori e gli operatori pastorali siamo chiamati alla maturità del discepolo, che prende su di sé il soave e leggero giogo di Cristo, vivendo in pieno l’unione con lui crocifisso e risorto. Solo così la nostra vita personale e comunitaria insieme (il singolo e i gruppi acquistano, infatti, senso cristiano nella comunione ecclesiale) diviene spiritualmente corposa e irradiante, sia per dar da mangiare alla folla sia per sporgersi nella vita pubblica con autorevolezza e credibilità.

Non desidero far proposte di azione per l’anno pastorale nuovo, quanto richiamare la necessità di ritornare alle fonti della vita spirituale personale e comunitaria, rinsaldare tutti gli aspetti della pratica cristiana, non sganciando quella privata da quella ecclesiale e da quella che esercitiamo nello spazio pubblico, far attenzione a come sfamare la folla (tanto variegata) bloccando ogni chiusura autoreferenziale. Mi limito a invitare i sacerdoti a spendere più tempo nell’ascoltare le persone, tenendo per più tempo aperte le chiese e rendendosi più reperibili, oltre a offrire stabilmente incontri con e sulla Parola di Dio.

 

  1. Secondo le disposizioni in tempo di pandemia, non celebreremo un’assemblea diocesana in cattedrale, come solito, bensì tenterò di venire in ogni vicariato a discutere con voi queste riflessioni, che in buona parte concludono quelle da voi fornitemi. Chiederò che durante l’anno si individuino alcune scelte precise da fare nelle parrocchie e nei vicariati, per incamminarci praticamente nella direzione individuata insieme.

Confidando nel sostegno dello Spirito, invito a offrire i pochi pani e i pesciolini che abbiamo in mano, sicuri che Gesù ne distribuisce a sazietà per tutti.

+Antonino Raspanti

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1 Ottobre 2020
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