Don Francesco Mazzoli, 10 giugno 2020
Omelia – X anniversario Presbiterale
“Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci ritenga capaci di questo” (Papa Benedetto XVI- Omelia conclusione Anno sacerdotale, 11 giugno 2010).
– Alla mia amata sposa, la Chiesa che è in S. Maria la Scala;
– alla mia adorabile famiglia (mamma e papà dal cielo, Ampellio con Sandra e Sofia, Antonella con Massimo, Claudio ed Andrea);
– a don Mario Camera e don Lucio Cannavò, per i nostri 10 anni di sacerdozio;
– a don Antonino Merlino e la comunità di S. Mauro in Acicastello per avermi accompagnato, insieme alla Comunità del Seminario e alla mia parrocchia di provenienza San Giuseppe in Acireale, alla vita sacramentale nell’Ordine Sacro nei gradi del Diaconato e Presbiterato;
-A tutti gli amici.
Grazie dal cuore e pace a tutti voi per partecipare all’ Eucarestia dei miei primi 10 anni di sacerdozio.
Ad un tratto del suo ministero pubblico, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli disse: “Chi dite che io sia?” (cfr. Mac8,29). Così anche io, su un piccolo tratto di strada percorsa della mia vita sacerdotale, rivolgo a voi e a me stesso: Che dice la gente di me? E voi chi dite che io sia? (Dovremmo interrogarci tutti, di tanto in tanto, per comprendere il nostro stato di Grazia, capire come sta la nostra anima al cospetto di Dio e non per sentirci dire: “Sei il migliore, ci fai divertire…”)
Lasciamoci illuminare dalla Parola che come ogni giorno è donata per dissetarci, per irrigare il campo della vita.
All’inizio di questa settimana (X settimana T.O) la Chiesa ci propone, nella prima lettura, il Ciclo del profeta Elia e nel Vangelo il discorso delle Beatitudini. Questo mio anniversario è incastonato tra due solennità: la SS.ma Trinità appena celebrata ed il Corpus Domini la prossima domenica.
Lo stare dentro il mistero della Trinità implica la fedeltà d’amore, il non abbandonare Dio Amante (il Padre), Dio Amato (l’Unigenito Figlio del Padre, Gesù Cristo) e Dio Amore (lo Spirito Santo). In questa unione si aggiunge, nella fede, la nostra realtà Umana: Dio amato nell’Amato, cioè noi, figli coeredi del Figlio Unigenito (cfr. Rm8,17); possiamo zoppicare, traballare, rallentare il nostro passo, ma l’uscire fuori dalla comunione con Dio, con la Trinità, ha come risultato la trasgressione, l’essere considerato minimo.
Le parole di Gesù proclamate nel Vangelo odierno non permettono uno sconto (l’inosservanza), ma un pieno vissuto della legge che è vera libertà; dunque, uno stare al passo della Verità.
Vi porto un esempio: in ogni famiglia sarà capitato a volte di dire ai figli “questo si lo puoi fare” e “questo altro no” in accordo con papà e mamma e molte volte, su una cosa che il figlio chiede alla mamma ricevendo il suo no, cerca il consenso dal papà per ottenere ciò che vuole e questi, accondiscendente, dà il suo si pur con il no della mamma e viceversa. Sapete cosa succede così? Succede che si avvia il discorso della trasgressione partendo dall’Iota della legge, dalle banali cose della vita familiare o personale. Esso non sminuisce tanto il no della mamma, ma la mamma stessa e ciò avrà la sua conseguenza sul rapporto d’amore tra marito e moglie e poi tra genitori e figli.
Invece, il fidarsi è la capacità di restare nel dialogo dandosi fiducia reciproca e l’essere sale e luce della terra (cfr. Mt 5, 13-16). La fedeltà alla Parola di Dio è fidarsi del Padre, di Gesù, delle illuminazioni che provengono dallo Spirito Santo. La garanzia alla Beatitudine è la felicità.
Nel Vangelo, Gesù sta difendendo la nostra Beatitudine. Così è per noi sacerdoti con le promesse e l’obbedienza sacerdotale al proprio vescovo che garantiscono la nostra Beatitudine sacerdotale. Ed io, come padre Nino ed i nostri confratelli sacerdoti, viviamo di questa fiducia ecclesiale, così come voi fratelli e sorelle con noi parroci.
Fidarsi è la rappresentazione dell’amare.
La prima lettura ci rimanda ad un atteggiamento frequente nella nostra società, prima di schierarmi per uno o per un altro aspetto chi sia il vincitore di turno, così scelgo senza compromettermi di salire sul carro del vincitore. Osservo attendendo chi vinca. I sacerdoti di Baal o il Dio di Elia, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe? Dietro questo atteggiamento, di aspettare prima di scegliere quale Dio è il vero, Dio ne approfitta per rivelare la sua vicinanza. Uno, contro centocinquanta e forse più. Egli è il Dio dell’impossibile con l’uomo che si fida totalmente del suo agire, come il profeta Elia che sa che Egli è presente. Ci troviamo dinnanzi ad un atto mistagogico e in questo brano, Dio rivela l’azione sacerdotale. Chi è il sacerdote? Colui che avvicina all’altare il popolo, l’assemblea, per vedere insieme le meraviglie del Signore. Noi su questo altare, su ogni altare insieme, deponiamo le gioie e le speranze racchiuse nella preghiera e nei segni del pane e del vino che per il dono della Transustanziazione diventano il corpo ed il sangue di Gesù, perché possiamo vivere della Beatitudine, del Bene, dell’Amore e della Comunione.
Carissimi, nell’altare il sacrificio di Cristo si fa ringraziamento.
Io vi ringrazio perché oggi siete in comunione con me e lo spero sempre. Ringrazio Dio, per la mia famiglia, per il mio compianto parroco padre Lanzafame, padre Piscopo, i miei Formatori del Seminario: don Angelo Milone (rettore), don Marco Catalano e don Nino Franco, don Alfredo D’Anna, don Alfio Privitera e don Rosario Gulisano. Con alcuni di loro l’avventura è continuata accogliendomi nell’equipe formativa dal mio secondo anno di sacerdozio per poi accogliere nei vari passaggi di nuovo Don Marco come rettore e don Gaetano Pappalardo, i miei compagni di Seminario.
Ringrazio i miei Vescovi: Mons. Vigo che mi ha ordinato e nominato suo segretario e vicario parrocchiale della Cattedrale. Qui con l’infaticabile don Roberto Strano ho iniziato a conoscere cosa sia l’attività sacerdotale nella parrocchia; Mons. Raspanti con il quale ho iniziato a vivere i primi passi veloci di un novello vescovo insieme ad un novello presbitero quale ero, che mi ha lanciato nel mondo della diocesi con i vari incarichi successivi: Parroco a S. M. la Scala, al Presepe Settecentesco se pur per due anni, la cappellania dell’Istituto Penale per Minori di Acireale e le altre nomine. Tutti luoghi in cui ho lodato e lodo il Signore servendolo, desideroso di fare comunione pur consapevole di essere fragile e peccatore. Ed è per questo che oggi con voi faccio mia la preghiera del Salmo 15: “Proteggimi o Dio in te mi rifugio”. Desideroso di fare profumo di un gregge di pecore condotte al pascolo e che tornino all’ovile, forse per il posto dove mi trovo è più auspicabile l’odore di pesce arrostito come lo preparò Gesù nella terza sua apparizione da risorto.
Guardo a Maria Santissima, alla Madre di tutti, Madre di noi sacerdoti e unendomi alla Preghiera di Padre Vincenzo Lanzafame nel giorno della sua ordinazione sacerdotale così anch’io mi rivolgo a Te: “Alle tue cure materne, Mamma mia, Maria, affido il mio sacerdozio”.