
La festa della Madonna del Rosario si svolge nella città di Acireale, oltre il 7 ottobre, la prima domenica di Maggio, ricorrenza del voto della città per la liberazione dalla peste del 1743, e quest’anno, domenica 3 maggio, ricorre il 277° anniversario.
A causa dell’emergenza pandemica Covid-19 in corso, la ricorrenza assume un significato particolare. Il rettore don Marcello Pulvirenti della chiesa di San Domenico in Acireale, dove si venera Maria sotto il titolo di vergine SS.ma del Rosario, non farà mancare ai fedeli la vicinanza della Madre celeste attraverso vari appuntamenti, nei quali saranno presenti il vescovo mons. Antonino Raspanti e le autorità cittadine.
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Il Vigo sulla peste scriveva: “Quando nel 1743, la peste devastò Messina, Aci – Reale fu salva dal contagio, ma aveva dolentissimo il cuore per il danno di quella celebre e generosa città. Aci e Messina si sono sempre amate, e i cittadini come fratelli si festeggiano; però, come con Catania nel 1669, così nel 1743 praticò con Messina: barche annonarie cariche di ogni sorta di vitto, e più farine e frutta continuo spedì alla città sorella: i messinesi con gratitudine accoglievano il dono, e in ogni caso infausto di Aci, come vedremo ne hanno serbato memoria.“
Le cronache acesi di Giuseppe Di Mauro Riggio raccontano dell’intervento miracoloso della Beata Vergine del Rosario venerata nella chiesa di San Domenico e delle azioni spirituali condotte dal Padre domenicano Gaetano Valerio che ammoniva del pericolo di contagio. La popolazione acese era preoccupata per la possibilità di contagio dovuta anche all’arrivo di diversi messinesi in fuga. Gli unici rimedioi per arginare l’epidemia rimanevano i cordoni sanitari e l’isolamento dei casi sospetti.
I medici erano incerti sulla natura del morbo, non capivano se si trattava di peste o generiche febbri esantematiche. Il Padre dotato di nozioni mediche ” andava perciò spesso a visitare li detti poveri infermi di notte e di giorno e rendeva informati i medici delle qualità delle febbri, delle mutazioni febbri e d’ogni altro accidente occorreva, procurando in tal maniera giovarli ne’ luoghi della corporale salute” e “esortavali con più fervore alla pazienza ed uniformità al divino volere, assistendoli fino alla fine delle loro agonie.” Ad allentare la tensione arrivava la buona notizia che il sospetto di focolai nel quartiere dei “morti” non si trattava di peste ma “affezioni maligne”. I Reverendi PP. Crociferi avevano avuto la possibiltà di dimostrare alla cittadinanza il loro valore unendo alle prestazioni sanitarie i conforti spirituali. La loro presenza al capezzale dei moribondi era rassicurante e rendeva meno penoso il distacco dalla vita mostrando ad essi “il mite e festevole volto del Signore”